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Anche altre prestigiose aziende del made in Italy negli ultimi anni si sono confrontate con il tema del sacro. La lista non è lunga ma comprende marchi del lusso come Fendi, che invitato da Koinè realizzò una casula innovativa fatta a piccole balze rigide, o Bulgari, la storica griffe romana di alta gioielleria che disegnò l’intero corredo liturgico per la Chiesa di Tor Tre Teste a Roma, voluta per il giubileo del 2000 da Giovanni Paolo II e realizzata, tra l’altro, dall’architetto Richard Meier.
Sono esempi virtuosi. Eppure la maggioranza della produzione rimane impantanata nell’orrido, per dirla con le parole del teologo Giuliano Zanchi, direttore del museo diocesano di Bergamo: «È sempre difficile per il design comprendere e realizzare le esigenze simboliche della liturgia». E pensare che tutto cominciò con il “ricordino”. Il souvenir, spesso acquistato durante un pellegrinaggio, spesso sinonimo di cattivo gusto, è l’antesignano di tutte le esperienze che legano la produzione industriale alla pacata, colta, antichissima sfera del sacro.
Il settore dei viaggi è un altro di quelli che più ha subito la commercializzazione dello spirito. E ha portato sul mercato cappellini, bandana e magliette dei papa-boys di Giovanni Paolo II, fino ad arrivare all’offerta turistica della flotta dell’Opera romana pellegrinaggi. Tante facce per un’unica religione, che oggi è spalmata su un arcipelago di mezzi.
E come dimenticare il web? È qui che corre ormai gran parte della strategia di comunicazione religiosa, una sorta di nuova frontiera dell’evangelizzazione. Social-network, canali dove condividere fotografie e video, blog di comunità parrocchiali. Per capire la portata del fenomeno basterebbe riflettere su un primato non recentissimo ma significativo: tra i primi domini registrati ci fu proprio www.vatican.va. A pochi passi virtuali dall’antica via dei Cestari. Ad anni luce dalla devozione del passato.